domenica 26 aprile 2020

Cal Loop devotion report. A look back to my Canyons 100k.

Should we turn left now?mi chiede il ragazzo che corre con me lungo Main Road. Dovremmo girare a sinistra adesso? Ma come, e me lo chiedi pure? La mia risposta yes sir, just take the most iconic left turn in the ultrarunning world, sì, la curva a sinistra più famosa, iconica e suggestiva probabilmente della storia del nostro sport. 

Un angolo secco, e un cartello chiaro: California Street.

Okay, uno dei miei soliti flashback. La mattina del Venerdì decido di fare un passo qui a Foresthill. Un po´per prendere coscienza del posto (mi piace sempre conoscere in anticipo il percorso dal mio bnb alla zona di partenza, la situazione parcheggi, la logistica, ecc..), e un po´ovviamente per cominciare a respirare l´aria del´evento. 

I ragazzi che montano su la zona di start e finish line, l´instancabile Paulo che scorrazza su e giù da Auburn con il suo mostruoso pick up, Chaz e Chris a coordinare tutto. 

In più, tutto quanto immerso in un Sole del mattino spettacolare, già caldo ma assolutamente confortevole, con questa luce della California che se non l´hai mai vista è meglio che corri a farti un biglietto aereo subito. 

Passeggio un po´su Main Road. Sì, voglio andare a quella curva, voglio vedere il cartello, voglio percorrere qualche centinaio di metri di asfalto prima dell´inizio del sentiero, della lunga picchiata verso l´American River. 

Sono in piena Terra Santa, tutto esprime sacralità qui. Ho un attimo di pelle d´oca e fiato corto. 

Finalmente ci sono, qui è dove comincia il sentiero: il leggendario Cal Loop.

Okay, torno al presente, a questo Sabato caldo e tosto, pieno di corsa e bel racing. 

Ho appena lasciato l´halfway point di Foresthill, con tanto di incitamento del grande Rick. A parte che ho appena perso gli occhiali da Sole (e da vista, argh!) a Vulcano Creek, e dall´incazzatura mi sono corso quasi tutta Bath Road, e che quindi mi aspetta un bel pomeriggio di visiera sulla faccia in stile Hal Koerner, sto benissimo. 

Sono entrato bene in ritmo e pacing e strategia alimentare stanno funzionando bene. Piano piano mi faccio strada attraverso il pack, qualcuno è già un po´cotto, altri se la godono, e lì davanti c´è battaglia vera (che belli che sono gli switchbacks, avere la possibilità di tifarsi e incoraggiarsi a vicenda tra top runners e mid- e backpackers è davvero una grande esperienza, e ti da pure un certo senso di prospettiva). 

Il ghiaccio fa il suo lavoro negli armsleeves, e sul collo, e tutto sommato mi sento ancora abbastanza fresco quando finalmente incontro di nuovo il sentiero. 

Ora siamo io e il Loop, giù fino a Rucky Chucky AND back. Sì, il più lungo e difficile switchback della giornata probabilmente, ma sono anche le miglia che ci riporteranno a casa finalmente.

Scendo bene di buon trotto, saluto i runner della 25k che stanno risalendo e più tardi i top della 100k, anche loro sul proprio home stretch che per i top two delle due classifiche significa anche Golden Ticket. 

A ogni mini creek, a ogni ruscello, investo una trentina di secondi per bagnarmi cappello, braccia, gambe, tutto. 

Continuo a recuperare gente nel frattempo easpetta, ma quella è Kathy D´Onofrio! Pacer del Cinghiale a States, ma anche leggenda vera del WS trail: per dire, questa si giocava la WS con Ann Trason tra ´80 e ´90. 

Tiro giù ormai fino al fiume, in una cornice di colori e profumi che solo il Cal Loop in Primavera può regalare. Mi dicono che c´è tanta Poison Oak in giro: io che non so come sia fatta, nel dubbio stavolta non tocco niente e resto pienamente sul sentiero. 

BOOM, alla fine di questo meraviglioso e burroso single track ecco una bella coltellata sotto forma di rampa di fire road in pieno Sole. 

E´di fatto Ford´s Bar, AKA Cal 3, dove oggi però non c´è una Aid Station ad aspettarci. Solo The Queen, la meravigliosa e regale Meghan, che come un puma inferocito si mangia letteralmente Kellie Emmerson proprio di fronte a noi e va via leggiadra, con sorriso spietato e compiaciuto. 

Il fiume finalmente, e laggiù la AID (eh sì è proprio in corrispondenza del river crossing, ma quella sarà roba per Giugno semmai). 

Strategia solita e si riparte in fretta, che c´è da far rotta ora finalmente verso Foresthill. Mi sento anche meglio rispetto alle ultime miglia, recupero un paio di coppie runner-pacer e maciniamo queste 15 miglia di ritorno, correndo spesso e lavorando duro. 

Dopo Cal 2 ancora l´elevator shift, e poi via di corsa in stile A-Train con Meredith e la sua pacer verso Cal 1. 

Resto solo proprio dopo Cal 1, un po´di sensazione da sitting duck, sento le voci dietro di chi viene su. Forse la fermata a Cal 1 mi ha tolto un filo di ritmo. Vado su di power hiking deciso, soprattutto accellero prima delle curve e dei tornantini, non voglio farmi vedere da chi sta dietro, voglio sparirepresto dal campo visuale di chi mi insegue. E soprattutto voglio tenere lo score pulito (nessuno mi ha superato nelle ultime 35 miglia). 

Shit, non ci riesco, arriva su Laura che va al triplo di me e mi lascia lì (pazienza dai, l´avevo presa io ancora a Michigan Bluff e ci eravamo un po´inseguiti per tutto il giorno). 

Ma poi basta, mi dico. Voglio l´asfalto finalmente, da lí solo mezzo miglio o poco più, e lì so, sono sicuro, che nessuno oserà anche solo pensare di raggiungermi. 

Il Cal Loop così è alle spalle, imbocco finalmente Main Road e sento voci e musica dal traguardo. 

E´fatta, Eric Schranz di URP (un idolo e un maestro) annuncia il mio nome e due cose a caso che avevo scritto nella interview di UltraSignUp. 

Taglio il traguardo, qualcosa sotto le 15 ore, come pensato e sperato. 

Chiacchiere e bibite fresche, ma poi è già tempo di rimettersi in auto e fare rotta verso Auburn. 

Non prima di aver dato ancora un´occhiata a quel cartello. 


Ci vediamo presto Cal Street. 

It´s always Canyons. Or never. 


sabato 1 febbraio 2020

About Kobe, life and love.

Kobe Bryant was my idol. 

Now this is already something special for me, being definitely not the kind of person that tends to idolize somebody. 

But he was my idol, my inspiration, my hero. He was invincible to me, immortal. Indeed he had to be here forever, he was meant to be here forever. Because heroes never die, legends never die. 

That is what he was; that is what he is still: a legend. 

We were pretty much same aged. In fact I pretty much grew with him. I remember when he was drafted, I remember his airballs against Utah, and of course I remember his titles, the 81-point game, the redemption; every of his All Star Game appearances, every of his buzzer beaters, every high and low. 

Yes, he had many highs and lows. And the lows were really deep, as much as high his highs were. 

I remember I wanted actually to be like him, even if I can not hoop at all. I barely know the rules of basketball actually. 

But the fact is, that Kobe was much more than a basketball player. He became an icon, again, something special. He became a mentality, a mindset, a way of life. 

I had his poster on the wall a couple of years ago, I had the newspaper page after the 61 points game at the MSG on the wall as well. 

I was working at the University back in those days, and I remember I just wanted to go out every day and kill everybody just because he was doin´the same the night before on a court. 

I never was a Lakers fan. I never was a fan of a particular franchise. I was just a fan of him. I was shocked that morning after the injury against GSW, thinking this was it: my idol was done with his career, I would have never seen him again, ever. 

Than he returned of course. Yes he was aging, yes he was not the same anymore, at least in terms of speed and strenght, but man, the guy was a monster; a monster of will, grit, determination. A beast. 

And so I wanted to be too. 

All the twenty years of inspiration and magic that he put night in and night out on the court, all of this came to a perfect ending with the 60s against Utah, again. And then I was fine: a sweet melancholy, watching my idol taking his last steps to te locker room, letting the mic drop with his legendary "Mamba out". 

Still I didn´t know. Still I didn´t know that his story was tight at the beginning.

He would have been the most inspirational father, husband, writer, podcaster, author, coach of this and the next era. 

His next 40 years would have been much better than the first ones. 

He would have written many books, produced many movies, taken many interviews and speeches. 

Yes, speeches. I still cannot accept that I will never hear his HOF induction speech late this year, together with Kevin´s and Tim´s ones. 

Everyday, every fuckin´day I checked YT for a new interview, or podcast, or speech. Everyday I was reading something about him, about his next book or movie. 

Or about his fatherhood. Yes he was a hell of a dad. And even if I have no children, watching him, like the black mamba, that merciless kind of beast, being the best father in the world, growing and coaching his girls, was really inspirational: it made me happy, and in peace. 

Now he´s gone. He and Gianna and the other seven people involved in the crashed. 

So this week I stopped. I stopped for a few days, and reflected about everything. 

About life and love. About how short life can be, and how deep love can be as well. 

Love for the things that you do, love for your loved ones, love for yourself. 

Even love for this crazy fucked up world. 

Today I went out for a run again. Nothing special, an hour or something. 

But enough, to understand that now, more than ever, it´s important to remember how thin and precious life can be. 

Do what you love, give love to your loved ones, to your passions, to your place and time. 

Because all of this is unique, for everyone of us. 

Manu


"Heroes come and go, but legends are forever".

lunedì 26 novembre 2018

I´ve found a hand on The No Hands.

This is a letter. 

 A letter to a place. A letter to people I´ve met. Maybe also a letter to myself.

This is something I wanted to write since years maybe. This is something I want and need to write right now. This is something I don´t know if I´m going to write about again in the future.

I struggle. And I´m currently trying to understand what I struggle with. What´s its name or connotation. Which are its sides, causes, eventual consequences. 

Which are its symptoms if you can call ´em this way. 

It´s going on since a couple of years right now. At the beginning I just called them bad moments or down moments. With the time I started to look at them as episodes. 

And then, as these episodes keep come almost on a regular basis and most of all, apparently with almost same characteristics, you find yourself thinking about symptoms. 

And you find yourself scared as shit. 

So now I´m here, at mile 45 and something of Rio Del Lago. I just got into the Hallowed Land of ultrarunning, approaching the descent from Overlook down to the American River.

Down to the place I´ve dreamed of for such many years. The No Hands Bridge.

I´m even having quite a good day so far. I feel fit, on point with energy and calories, weather is great and this is definitely a great race. And again, I´m running on one of the most beautiful and iconic trails in the world. 

All is going good. Except for one fact: the symptoms, the struggles, the episodes...just do not care the shit about you. About how you´re feeling. About where you are and what you are doing. 

They come, more frequently quite out of the blue, and they start their horrendous but still seducing music. 

One of those symptoms is an overwhelming feeling of loneliness. In these moments I start to feel alone, no matter who I´m with or where I am. I start to feel alone, far away from everyone and everything. 

This sense of loneliness brings me then immediately to questioning myself what I´m actually doing right now, right here. I feel in the wrong place at the wrong moment. I feel I do not deserve to be here, like this is not my place, this is not my dimension. 

And then, it starts to get physical: I slowly lose control on my own body. Quads start to feel empty, feet seem they are swelling relentless in my shoes, and toes are crying at every single step on a downhill. 

I don´t want to drink anymore. Let alone eat. 

Yeah, not only I´m destroying my day, my race and months and months of training. Not only I´m destroying one of the few things on Earth that makes me happy. 

I´m destroying myself. 

Or something is trying to destroy me. To put me out. Out of the race. Out of the day. Out of myself.

I´m passive to that. And I´m scared. And I feel incredibly alone into that. 

So that is going on as I descent to the River through the warm hours of the day. I can hear the AR running through this thin and rocky valley. I can see it, the colors, the stream. But I cannot enjoy this moment. I´m struggling, I´m suffering, and I´m coming to the end of my day, and maybe of my running. 

Over there. The No Hands Bridge just compares well hidden into the valley. It´s simple. Just an old bridge on a river. But even in this moment, even on the edge of my inner deepest darkness, I can not avoid to have a bit of goosebumps approaching it. 

Maybe this could be even a positive episode, I think in the moment. Goosebumps is maybe just a way that your body use to tell you you´re still here, you´re alive. 

So I decide do get my hat off and cross the bridge, walking. It seems like an endless moment. I can hear and feel my steps on this light gravel path, the River behind and all around, the inner voices becoming so loud that I can not actually hear the people around of me. 

Until, again, out of the blue, all becomes quiet. Maybe two or three seconds, I don´t remember. But indeed, in these three seconds I do not hear anything, anymore. No river, no voices, no physical pain. Nothing. 

Until one voice, one single voice, does come to my ears again, letting my mind in a sort of reconnecting process, which I don´t figure out in that moment. 

Simple words: "Do you need something?", and with these simple words actually comes one hand. And then both. 

Hands. Yeah, in that moment I probably need hands. 

Hands that give me something to drink. Ice in my cap. Things to eat I would probably never pass safety controls at the airport with. A chair to seat on for almost an hour. 

Hands on my legs, on my shoulders. Hands on my hands. 

And then, voices. Not only sounds. In that moment, I need voices. Voices telling me that I´m not alone. That I´m doing good. That I have plenty of time. Words of love and wisdom. 

Voices telling me that I´m right here, right now. 

Voices telling me that I am. Period. 

Now I´m reconnecting again with things that are around of me. With people, eventually with time and space, with the whole race and with the day. 

Even with my whole trip from Europe down to this place. To this valley. 

And to this bridge. Which is not only a landmark here. It is actually also a gate, marking the beginning of a long loop through the night (for me at least), into the unknown that always occurs at some point during a hundo. 

I´m out right now, determined to go on somehow, fighting as hard as I can against (or with) the episodes in myself, but still searching for the reconnection with my own mind and body, with my own me.

The same hands and the same voices are putting me on the trail again right now. With some sort of gentle determination. 

And I´m actually out from No Hands, ready to...suffer again, a couple of miles later. 

This shit is not going away, not at all. This is the first time that I face it for such a long time, for such a long episode. 

And I´m getting more and more scared about it, as I realize that I am completely at my limit, both physically and mentally. Could be that the cause or the consequence of this whole story? I keep questioning myself about that, as the miles keep going by, and I know that the simple questioning is still a part of the destroying process right now. 

I question all the questionable. What am I doing right here? Why am I doing this? Why didn´t I give up the whole thing a couple of miles ago? While didn´t I listen to the seducing voice in me, telling me that it´s not so bad to give up, to retire. It´s still just a race, right?

And then I find myself questioning about the chance to quit as soon as possible. Will be possible at the next Aid Station? Will I be able to go back to the Camp pretty soon? How will I spend the next few hours? How will I recover? 

No...I need someone else right now, which I can ask questions to. I need voices right now, again. 

Right, the first couple of runner and pacer that I meet, I ask about it. About all. 

I´ve actually met a couple of runner and pacer a few moments later. I´ve actually made some questions. 

One thing I didn´t consider: the answers. 

Maybe sometimes you just need hands. Voices. And answers. 

The answers would get me eventually through the whole night and give me the chance to slowly (very slowly) reconnect with my own mind and body. 

Even to share a bit of my struggles. 

To reach the No Hands Bridge for the second time. Where the gate now actually looks no more to the dark night, but to the way back to the finish line. 

Where I had the chance to run some of the most emotional, struggling and inspiring miles of my life. 

Remembering letting the No Hands back, gettin´through the night with just the light of our frontlamps guiding us on the way back home. 

And guiding me on the way back to myself. Rewiring my brain and body. 

Still suffering and struggling, but not scared anymore. 

Quite the opposite in fact. Accepting it, embracing it. 

And that is maybe a sort of a lesson that I´ve managed to get from this experience. 

Accept, embrace, instead of question and fight. 

Maybe the episodes, the symptoms, the voices (which are all still happening and going sometimes) are just a sort of a letter that I´m writing to myself. 

Signs of something. Kind of a energy, a force. Maybe just an unbearable and overpowering weight. 

Which I have to know better and better. To accept. Which I have to embrace. Which I definitely have to learn to live with. 

It´s a process, and I am definitely into it, full on. 

Knowing, maybe for the first time since years, that I´m not alone. 

That I have hands around me. And voices. And answers. 

And that I can still walk, and run, with no hands. 

See you next year, on the No Hands Bridge.

Photo courtesy Michael Li



giovedì 16 novembre 2017

You can´t escape The Game. My TGE 100 race report.

Flashback

"Questo è il Manu che conosco!". Ari è di poche parole, come sempre. Ma quando parla, sa prendermi nel modo giusto. Trova il momento, non le posso nascondere nulla, mai. Legge ancor prima di me cosa ho dentro, e di cosa ho bisogno. E questo è ciò di cui ho bisogno adesso. 

Miglio 97 più o meno, sono appena uscito dalla ultima aid, che poi è una "finta" aid, perchè è di fatto al traguardo. Mi aspettano 6 km di totale apnea sulla collina che sovrasta Maboge. Simple as that: vai su, corri sul piano e buttati giù a tutta verso il traguardo, quello vero stavolta. 

Ho 50 minuti, più o meno, per percorrere questi ultimi 6 km, prima del cut off finale. "No dai, abbiamo deciso che tutti avete 40 minuti in più, anche per farci perdonare i casini del Sabato mattina..." mi dice l´RD (gentilissimo e premurosissimo, tutto il weekend).

No fucking way buddy, allora non mi conosci. Il cut off ufficiale è 36 ore? Bene, arriverò in quelle fottute 36 ore. Darò l´anima per quelle 36 ore, e se quando avrò finito quella non sarà bastato, pazienza: avrò combattuto fino in fondo comunque. Perchè parliamoci chiaro: in una 100 non lasci niente, ma proprio niente nel serbatoio. 

In una 100 devi arrivare a voler morire e al tempo stesso a sentirti vivo fino in fondo: è il Gioco che te lo chiede, molto semplice. 

Esco così dalla aid con una cattiveria che non so proprio da dove esca fuori. Pesto deciso con i bastoni nel pianetto, prima di lasciare Ari (che mi "accompagna" in questi 200 metri in bici; si è fatta 20 km con una mtb sgangherata per venirmi a vedere qui a Maboge) e aggredire questa ultima salita. 

Salgo piegato in avanti e sui bastoni, cerco di darmi ritmo con i passi e il respiro. Unico obbiettivo, azzeccare tutto con la navigazione. Devo trovare i markers Legends, e li devo trovare subito, automaticamente, senza esitazioni. Sono così al limite che so perfettamente che un altro detour, a 3 miglia dal traguardo, mi segherebbe in due del tutto. 

Scollino cazzo, finalmente. Eh ma ora appunto, "you have some running stuff" (parole dell´altro RD ancora giù al paese). E va bene Escapardenne, Legends Trail, The Great Escape o come cazzo ti chiami. Vuoi giocare fino alla fine, giochiamo. For The Love of The Game. 

Premessa 

Questo è un racconto, resoconto, report, insomma un qualcosa di suo già pieno di flashback e fast forward. Il solito casino insomma, anche perchè se mi metto lì a fare una cronaca minuziosa di due giorni di sentiero e distruzione, non gliene frega niente a nessuno. 

In più è facile che salti delle parti o che non mi ricordi altre robe, visto che sono passati quasi un paio di mesi. Però ragiono come al solito: tu butta giù, anche se non lo leggerà nessuno, hai qualcosa su cui tornare ogni tanto.

Perchè in ogni caso questa The Great Escape è stata un´esperienza, e che esperienza. Di quelle che restano, nella testa e nelle gambe. Cose, persone, luoghi, storie. Vediamo cosa viene fuori. 

Il prima

E va bene, non giriamoci intorno. La nomino per la trecentesima volta, ma chissenefrega. E´la mia ossessione, probabilmente. O almeno così è stato quest´anno. Lei insomma, quel mostro chiamato Istria 100, anzi Mount Vojak, la sua incarnazione più imponente e aggressiva. 

Quella montagna è il motivo per cui a metà Settembre sto facendo rotta con Ari verso le Ardenne. The Great Escape era, almeno fino ad Aprile, un´idea o poco più. Un sondaggio veloce, un interesse ancora abbastanza distante, insomma semplicemente il mio nome in una sorta di registration list.

Senza impegno, così per dire. 

Ma il Giovedì dopo Istria appunto, ancora incazzato di brutto per il weekend appena trascorso, torno dalla prima corsa post Pocklon. Apro la mail, e mi trovo la comunicazione del Legends Team. Ehi, se ti va di ufficializzare la partecipazione alla TGE di questo Autunno, questi sono i vari link. 

Se mi va? Potete scommetterci maledetti. Iscritto ufficialmente, e passa la paura. 

Ecco, c´era poi un piccolo particolare. TGE sarebbe arrivata a "sole" sette settimane di distanza dalla NDW. Tutto compreso: recovery post NDW, periodo di presunto ritorno in bolla e tapering immediato. Com´è andata a finire? Che ho cercato di vivacchiare un po´dopo NDW, anche per il semplice motivo che non inventi un cazzo dopo una 100, figuriamoci tra due 100, figuriamoci alla fine di una stagione iniziata con Istria e proseguita con una Primavera "di bolina", conseguenza insomma dei vari scazzi fisici e di testa. 

Quindi ho cercato di starmene tranquillo dopo NDW, di corricchiare un po`, e soprattutto di cominciare a fare un po´conoscenza "a distanza" con questa TGE. 

I luoghi innanzitutto. Le Ardenne. Una Foresta con la F stramaiuscola. Un ecosistema fantastico, un aspetto ancora selvaggio e piuttosto ignoto al grande turismo (per fortuna), una natura cattiva, aggressiva e al tempo stesso fluida, indecifrabile, continua. Conoscevo "di nome" e di fama, ma non c´ero mai stato. Insomma l´occasione perfetta per vedere posti nuovi anche con Ari. 

E poi il percorso. Due grandi sentieri, uno dietro l´altro, che insieme costituiscono il più ampio "Escapardenne Trail". Lunghezza, 159 km circa, insomma 99 miglia e qualcosa. Tanto dislivello, fatto però di salite brevi, di coltellate decise che rischi di pagare alla fine se non ti sei gestito da subito. A fine Agosto mi sono anche arrivate per posta le varie cartine e i libricini informativi, ora dovevo solo mettermi lì e studiare. 

E infine...eh, la distanza, poco da fare. Ancora una volta scelgo le 100 miglia, e non solo per un fatto di iconicità. Voglio misurarmi ancora su questo numero, dopo la notte di Istria e la (parziale) redenzione di NDW. Quel numero esercita su di me un fascino malato, e non so il motivo. Ma il Gioco agisce così, e non devi chiedere: solo eseguire. 

Ed eccoci qua allora. La Roche en Ardenne, una graziosa cittadina non lontana da Bastogne, Vallonia.  L´albergo è molto carino, tranquillo, incastonato in una di queste vallette e insomma, avrò modo in questi giorni di cominciare a respirare un po´di aria delle Ardenne, di immaginare, di sentire il luogo intorno a me.

In più la gente è molto gentile e disponibile, ci troviamo bene e tutto ha un´aura di grande semplicità. Come piace a noi. Sarà un bel weekend, lo sento. 

La gara

Fast forward. Sono a Maboge adesso (un piccolo borgo poco fuori da La Roche). E´circa l´una di notte del Sabato. Rovisto nel buio della macchina in cerca delle cose da mettermi, poi realizzo che se mi metto un attimo la frontale in testa, è meglio. 

Ari è rimasta in albergo a dormire. Io sono qui, con altri 80 scappati di casa, pronto a mettermi in viaggio per 100 miglia.

Fuori è buio, molto buio. E fa pure freddo. Come vestiti sono combinato più o meno come in Istria, anzi più autunnale stavolta. Pantalone tre quarti, base layer, t-shirt, smanicato e pure giacca antipioggia già addosso. Ogni layer conta adesso, anche perchè abbiamo davanti quelle che per certi versi saranno le tre ore più difficili di tutta la gara. 

Un´attesa snervante, in questa piccola Halle all´aperto, del pullman navetta che dovrebbe portarci ad Ettelbrück, Lussemburgo, dove appunto inizia ufficialmente l´Escapardenne. 

Adesso fa ridere magari, ne sono sicuro. Ma devo ammettere che, quando sei lì che la sveglia ti ha suonato alle 23:30 più o meno (e quindi di fatto non hai dormito), e in un certo senso sei già in your game, senti la gara, cerchi quell´ultima goccia di focus prima di buttarti sul sentiero, insomma quando sei lì che vuoi correre, farsi tre ore di attesa snervante può cuocerti il cervello. O congelarlo.

Ancor prima di partire. 

Io cerco di stare tranquillo, mi scaldo come posso avvolto in una di queste copertone di lana che i volontari (gentilissimi) ci hanno portato, mezzo piatto di brodo in mano. Altri parlano concitatissimi, agitati, nervosi. Altri dormono. Faccio conoscenza con Mervyn, Michael e Chloe. Ci eravamo già sentiti via Facebook, e finalmente è bello darsi una faccia e una voce. 

Il tempo passa, e finalmente arriva l´annuncio: il pullman non arriverà mai (cantieri, casini vari, l´autista è rimasto a dormire? Non si sa) quindi ora cerchiamo volontari che ci accompagnino in auto fino a Ettelbrück (è comunque un´ottantina di km in linea d´aria). 

Si formano equipaggi improvvisati di gente che non si conosce e che parla lingue misteriose. Olandesi, belgi, neozelandesi e un ligure mezzo tedesco. Riesco a infilarmi nella macchina di Arnoud, e il papà, svegliato nel bel mezzo della notte, prende un thermos gigante di caffè e si mette alla guida.

E così, dopo un´ora di bestemmie in olandese verso il tom tom, nebbia allucinante, pause pisciata e altre bestemmie in olandese, siamo finalmente a Ettelbrück. Sono le cinque del mattino, saremmo dovuti partire alle quattro. 

Breve conciliabolo: d´accordo partiamo ufficialmente alle cinque e mezza. Quindi, un´ora e mezza dopo l´orario previsto, che significa però che avremo un´ora e mezza di buio in meno all´inizio. Che poi non cambia molto, visto che la notte ormai è fottuta.

Ultime operazioni pre-partenza. Ah sì, questa è una bella cosa. Ci mettono addosso un mini chip gps, che servirà per il live tracking fighissimo che i ragazzi Legends hanno preparato. Un mega link con cartina del percorso che si aggiorna ogni 90 secondi, così che da casa sarà possibile seguire la gara davvero in tempo reale (roba per quella live tracking geek di mia mamma). Ma soprattutto, servirà appunto ai ragazzi del Legends Team per tenerci sott´occhio per tutto il weekend, e curarsi che non finiamo da qualche parte in Danimarca probabilmente (la regola è: se prevedi di stare fermo più di dieci minuti fuori da una aid, avvisa prima per telefono. Altrimenti ti telefoniamo noi, e ti facciamo il culo se non lo hai fatto tu). 

Sì, perchè c´è ancora un particolare. Il percorso è "segnato ma non segnato". Non ci sono markers ufficiali della gara, ma in compenso ci dovrebbero essere abbastanza markers del National Trail, da rendere la navigazione abbastanza semplice. Boh, io nel dubbio ho al polso il mio di GPS (prima volta in assoluto che lo uso in una gara) con la traccia caricata su, casomai dovesse servire. 

Conto alla rovescia improvvisato. Ok, get out of the way! Si parte. 

And they are off! Photo credit Mervyn Van Gompel

Stavolta, sarà il freddo, sarà forse proprio la voglia di andare tenuta a freno per tutta la notte, decido anche di partire un filo più allegro rispetto al solito. 

Niente di particolare eh, semplicemente non voglio essere subito dead last come a NDW. E non voglio neppure restare subito troppo solo, proprio per il discorso della navigazione. Fammi vedere un attimo come si presenta questo Escapardenne, al massimo aggiusterò in corsa la mia pacing strategy di conseguenza, sperando di non fare casini come al solito. 

E così mi attacco al culo proprio di Chloe, la ragazza neozelandese (ma trapiantata pure lei in Germania) che avevo conosciuto a Maboge. Intorno a lei un bel minipack, che almeno mi permette di tenere una buona andatura nel tratto in piano di Erpeldange Sur Sure, l´ultima striscia di asfalto prima dell´inizio vero dei sentieri. 

Attacchiamo queste prime miglia di foresta ancora buia con una certa prudenza, alternando power hiking deciso a un trotto più disteso. Ci supera Mervyn, alla sua prima 100 miglia. Lo rivedrò all´arrivo, il maledetto è stato sulle 30 ore basse.

Arrivano anche le prime rampe da mani sulle ginocchia (alcuni hanno già tirato fuori i bastoncini; ah a proposito, ovviamente li ho anch´io dietro, e non li usavo, guarda un po´...da Istria...), ma per il momento mi sento a posto in generale; non forzo, cerco un passo regolare e cerco soprattutto un buon assetto di power hiking (la mia vera "arma" contro quelli che corrono pure sui muri), cercando di stare alto di busto e respirare bene e ritmato. Funziona, e piano piano sbuchiamo dal bosco. 

Sta arrivando l´alba, finalmente, e la visione che ci appare è davvero da levare il fiato. Una mega collina, avvolta ancora in una leggera nebbia, con solo una gigantesca Windrad a ritmarne il silenzio, e a rendere il tutto comunque particolare, ovattato.

Una roba così insomma.

´Till they rise. Photo credit Mervyn Van Gompel

E´bello correre qua, poche storie. E l´arrivo dell´alba ci da finalmente una carica nuova. La testa si libera, le gambe iniziano anche a girare meglio, insomma ognuno sta cominciando a entrare nella propria modalità viaggio.

Il gruppetto si assottiglia. Passiamo qualche borgo caratteristico e continuiamo il nostro saliscendi in foresta di questi primi 20 km.

E presto, tra una pausa pisciata e qualche parola, si finisce che si resta in tre. Io, Michael (scozzese trapiantato in Olanda) e appunto Chloe. Giusto prima della aid numero uno, a Bourscheid, e siamo al km 24 più o meno.

Il mio piano in sostanza, è di stare con loro. E col senno di poi, si rivelerà un errore strategico che avrebbe potuto pure "costarmi" caro. Intendiamoci, nelle ultra è anche bello fare gruppo, andare insieme, per carità. Ma questa è pur sempre una gara, non tanto dal punto di vista puramente "agonistico", quanto piuttosto proprio da quello di gestione delle proprie risorse. Run your own race, sempre e comunque.

Perchè allora opto per la prudenza e la ricerca di compagnia? Probabilmente, pensandoci così a freddo, proprio per un fatto di insicurezza mia. So che questa è una gara da non sottovalutare comunque, e la mia forma del momento non mi consiglia certo grandi cazzate strategiche. La compagnia di un gruppo che va a un passo ok per me, potrebbe essere il modo per far passare le miglia e capire piano piano qual´è il mio posto vero su questo sentiero. Questo almeno è quello che penso in quel momento.

Aid uno, dicevo. Faccio il pieno di liquidi e riparto subito con una manciata di patatine in mano (ah, le aid qua sono fornite il giusto. C´è quello che serve, tra chips e coca. Ecco, magari per le prossime volte qualcosa di diverso dalla coca e un po´di frutta non sarebbe male, ma adesso va bene così).

I miei due compagni di viaggio sono molto più lenti di me a uscire dalla aid (Michael è alla sua prima 100, e Chloe è in giornata non proprio ottimale: è un´atletona, ma patisce un filo di debolezza e la scelta di essere partita forse un filo troppo decisa) e così io vado facile, voltandomi spesso, e al tempo stesso cercando di negoziare i primi discesoni in mezzo alle legnaie. E soprattutto, godendomi il primo vero Sole della giornata, che scalda muscoli e testa.

Tutto sommato mi sento bene, comincio insomma ad essere contento di essere qua, di fare quello che sto facendo.

Mi infilo in un tratto di single track fantastico, con da una parte la roccia e dall´altra il bosco che scende deciso. Ed ecco che finalmente sento le voci dei miei due compagni di viaggio che si avvicinano.

Ci ricompattiamo, e proseguiamo di buon accordo verso uno degli highlights di tutta la gara: il Morberlee. Una salita su cresta molto suggestiva, e dura, che poi per altro ci porta verso la aid due.

Ora fa anche caldo, e io mi curo comunque di restare idratato e di nutrirmi con regolarità (a proposito: solita dieta di gel ogni 45 minuti, più quello che trovo alle aid, ma senza esagerare).

Il Morberlee dicevo. Non so, ha un che di ligure. Mi viene da ridere a pensarci sul momento, mi viene  in mente il Trail di Laigueglia, il mio primo trail in assoluto, e alcuni suoi passaggi quasi lunari.

Il Morberlee. Photo credit Mervyn Van Gompel

Scolliniamo, e siamo alla aid 2, km 37 più o meno. Che è una aid al chiuso, e che è pure il punto dove ciascuno ha la sua prima drop bag (dimenticavo, altra cosa figa di questa gara: ogni concorrente ha tre drop bag distribuite in tre diverse aid stations lungo tutto il percorso: molto utile e interessante, specie per gestire il discorso abbigliamento).

Anche qui sosta veloce (per me), ricambio completo di gel e via (e riesco pure a salutare al volo il buon Roby Rovelli, l´altro italiano venuto fin quassù questo weekend).

Riparto ancora da solo, e così mi godo, di nuovo da solo, le 3 miglia che seguono. Bellissime è dir poco. Sono spettacolari. Si scende su single track erboso e morbido giù in questo piccolo canyon, con tanto di ponticello in fondo, e si risale dall´altra parte. Sierra Nevada spirit, decisamente.

Mi sento rinvigorito da queste sensazioni, e finalmente, quando anche Michael e Chloe mi raggiungono, sbuchiamo su un bellissimo pianoro soleggiato.

Tra cazzate e discorsi intanto siamo già oltre i 50 km di gara. Sì, tra cazzate e discorsi appunto...ecco che infiliamo il primo detour micidiale della gara. Per colpa nostra, sia chiaro, perchè di fatto non leggiamo bene un marker di Escapardenne inchiodato a una panchina di legno.

Cavoli guys, stiamo facendo troppo asfalto, c´è qualcosa che non va. Ok, torniamo indietro. Squilla il telefono: è l´organizzazione, che appunto ci sta "vedendo" sul live tracking. Siamo fuori di un chilometro abbondante, insulti in olandese, ma stiamo tornando on track, è questo che conta.

Altrimenti, siamo a posto, di fisico e di testa, e andiamo avanti decisi.

Aid tre (km 57 circa) è pure molto caratteristica. Vicino a una sorta di rovina di torre di un qualche castello, in mezzo al bosco. Becchiamo pure il primo runner veramente cucinato, che in preda a chissà quale delirio bestemmia contro tutto e tutti, lancia bastoncini, mormora cose incomprensibili.

Il tizio mi fa incazzare abbastanza in effetti (se non sai comportarti vattene allo stadio e non rompere il cazzo, penso sul momento) e decido di andarmene presto dalla aid, stavolta però portandomi dietro Chloe e Michael (perchè non ho più voglia di aspettarli più avanti).

Ecco, ci sono adesso due problemi però. Alla prossima Aid (quella delle 50 miglia) mancano qualcosa come 23 km, che non sono pochissimi in una 100 miglia. E soprattutto, Chloe si sta chiaramente fottendo. Comincia a camminare tanto, a volte "troppo", e io e Michael non ci sentiamo di mollarla lì in mezzo al nulla (sta anche scendendo la sera).

Il problema è poi anche che la sua "negatività" (ovviamente involontaria) sta contagiando pure noi. Che siamo anche e comunque un po´stanchi. E le rampe di asfalto in mezzo a questi paesini infiniti non aiutano di certo. Per farla breve, pity party pesante in arrivo per tutti.

Scrivo un sms a chi so io, raccontando della situazione. Cazzo è presto per avere un pity party, non siamo nemmeno a metà gara. La risposta è di quelle giuste però, e soprattutto decido di cominciare a fare meno il coglione e di dirigermi, con la testa, più verso la mia gara.

Insomma decido di incattivirmi, piano piano. Comincio a guardare ogni tanto il mio gps, voglio andare deciso adesso, non dovendo "cercare" per forza i vari markers. Voglio arrivare a Clervaux, miglio 50, lasciarci Chloe sempre più ferma e infreddolita, e partire per la notte insieme a Michael.

Nel tragitto verso Clervaux lo carico di brutto. Continuo a dirgli di arrivare a Clervaux, di cambiarsi, di mettersi caldo, di mangiare e di fidarsi di me, che questa sarà una notte di caccia grossa. Mi sembra convinto sul momento, e così entrambi ci diamo una bella carica.

Arriviamo a Clervaux, con pure un breve out and back dal paese (la aid è al campo di calcio). Ormai è sera tardi.

Entriamo in questo cubicolo piccolissimo popolato di volontari stanchi e infreddoliti pure loro (e da lì a poco partirà da lì la 50 miglia) e ci spariamo verso le nostre (seconde) drop bag.

Tattica ormai collaudata: cambio di calzini (con nuova spalmata di crema ovviamente), e di base layer e t-shirt. Voglio roba calda e asciutta, poche storie. Chloe è avvolta nella copertona di lana (la rivedrò all´arrivo. E´stata bravissima e tostissima comunque), ma è Michael che "mi preoccupa" in questo momento. Ha percorso le ultime miglia prima di Clervaux in maniche corte, per la pigrizia del non volersi mettere la giacca antipioggia/antivento. Ha sudato, ma camminando (per via di Chloe) si è raffreddato molto.

Chloe e Michael. Quando condividi 50 miglia buone con le stesse facce, crei qualcosa che poi resta. Thanks guys! (photo credit Harry De Vries)

Lo vedo però che mangia un bel piatto di insalata di pasta, e così lo carico ancora di più. "C´mon baby, take your time, and then we´ll gonna have a great night together!".

Game face. Photo credit Harry De Vries

Io sto piuttosto bene tutto sommato. Sento che la gara vera sta per cominciare, e che soprattutto ho una fottuta voglia di cominciare a fare la MIA gara.

Bon, si esce. Siamo rimasti io e Michael. Un freddo fotonico, e rimettersi in moto non è certo facile.

Usciamo da Clervaux e ci rimettiamo sul sentiero...anzi no. Eccolo qua, il secondo mega detour del weekend. Ecco però, se il primo ci era costato una 30ina di minuti circa, questo ci vale circa un´ora e 20, maledizione.

Come l´abbiamo poi risolta? Grazie alla mia cartina di carta, che tenevo nella tasca anteriore dello zaino, e in culo a GPS e markers vari. Un errore stupidissimo, più di navigazione del tratto di strada che esce da Clervaux (sarebbe bastato stare sulla sinistra, come si deve, e avremmo beccato subito il marker che indirizzava al sentiero sottostante).

Fatto sta che questo detour fotte Michael del tutto. Lo sapevo, maledizione. Oh, ci sta, assolutamente. Sta facendo un garone, per essere alla sua prima 100. Ma la testa ci ha mollato dopo 50 miglia, e questo tempo perso lo blocca del tutto.

Pure lui comincia a camminare, gli chiedo se ogni tanto vuol fare un po´di trotto gentile (più che altro per scaldarci: sta scendendo la nebbia, e quando ci siamo dentro, in questo bosco allucinante, viene subito una sensazione di chilling profondo), ma niente da fare. Ormai cammina e basta. E io che faccio? Eh, ancora una volta scelgo di fare il "samaritano", e di provare a portarlo alla prossima aid station (che però dista 12 km). So bene che sto rischiando di fottere pure la mia di gara, perchè mi sto prendendo freddo e sto perdendo ritmo muscolare e mentale, ma tutto sommato, pensandoci ora, so di aver fatto la scelta giusta. Ancora una volta, il Gioco chiede, e tu esegui.

Arriviamo finalmente a questa aid sperduta, dove c´è pure uno degli RD. Michael è finito, ma almeno ha la lucidità di dire subito basta (nonostante alcuni suggerimenti, secondo me non "lucidissimi", di alcuni volontari: "ma no dai, ti riscaldi e riparti!". Fuck you gal, lo vedi che questo è andato, che vuoi mettere uno così di notte su un sentiero per altre 8 miglia in una death march senza futuro? E vabeh dai, tra me e me penso che pure i volontari devono fare ancora un filo di esperienza).

L´RD mi chiede come sto io, mi siedo un attimo mentre un tizio con delle mani enormi mi fa una sorta di massaggio alle spalle, più per tenermi caldo. Ho anche io la coperta addosso, ma so perfettamente che vale solo per il tempo che mi serve a buttar giù uno di questi fottuti wraps vegetariani (buonissimi però).

Non esiste che mi fermi anche io, te lo puoi scordare amico. La mia gara, la MIA maledetta gara, inizia adesso, finalmente. Cheers Michael, grazie per la compagnia e quasi 60 miglia insieme, ma adesso siamo io e il sentiero. Come volevo, fin dall´inizio.

Io, solo io e questa foresta. Credo pure di essere l´ultimo assoluto ormai. Non mi importa. That´s my Game.

Così caccio un urlo animale lasciando la aid station, e mi ributto in mezzo alla notte.

In più, ho pure fortuna. Stanno arrivando da dietro quelli della 50 miglia, che ovviamente vanno a velocità tripla. Solo saluti e pacche sulle spalle, "well done man" e repertorio assortito, mi fa comunque piacere.

Ora mi aspettano per altro i chilometri più "scorrevoli" di tutta la gara. Il tratto che poi ho soprannominato il tratto "NDW" di The Great Escape. Colline, campi, campi, colline.

La navigazione resta abbastanza facile tutto sommato, anche se devo dire che questa seconda parte di gara è leggermente meno marcata della prima. O magari è solo che sono in pratica alla seconda notte in piedi, e ora ogni bivio dura quell´attimo di più per essere interpretato nel modo giusto.

Il Suunto però funziona bene e mi leva dai dubbi. Vado bene, regolare. Alterno hiking a corsetta, e ancora non ho tirato fuori i bastoncini.

Arrivo così alla prossima Aid, quella di Buret, km 108. E qui c´è anche la terza e ultima drop bag. Altro cambio di calzini e layer vari, e piatto caldo di un mega salsiccione. Non so neppure io perchè sto mangiando sta roba. Forse è davvero solo per un fatto psicologico, mangiare caldo ti da sul momento quell´idea di reset, di ripartenza, e di "rinascita" dentro.

Riparto dopo poco, anche perchè so perfettamente che non posso prendermela troppo comoda. Il tempo passa, tra poco sarà mattina, e ci sono ancora 30 miglia abbondanti da mettere via.

Il problema è che però la stanchezza adesso sta arrivando decisa. Sì, adesso ho anche tirato fuori i bastoncini per dare un filo di spinta al mio hiking, però mi accorgo di star facendo un bel po´di fatica. Altro problema: sto cominciando ad avere il mio "buco" di alimentazione, ormai quasi una costante. Lo stomaco non vuole più gel, e così devo andare avanti un paio d´ore buone senza mangiare nulla.

Sono a Houffalize, arriva l´alba, e sono stanchissimo. A un certo punto in mezzo a un bosco dopo il paese, mi sembra pure di sognarmi un paio di runner dietro di me, inesistenti. Poi un tizio col cane poco più avanti. Pure quello mai esistito. Infine comincio a provare a chiudere gli occhi per tre secondi mentre cammino.

Mi accorgo che sto quasi "sognando", non so come dire. La testa si fissa su cose assurde, persone, pensieri vari, mi distraggo come se mi stessi appunto abbandonando al sonno. Che cavolo sta succedendo?

Con un po´di pazienza e tanto focus riesco però a tirarmi fuori da questo momento, e in qualche modo arrivo alla aid del km 130, o giù di lí. Mi dicono che ho 20 minuti di vantaggio sul cut off (non saprò mai se era la verità o una balla per levarmi presto di lì).

Fatto sta che questa cosa mi da il primo vero calcio mentale della giornata. Mangio e bevo tutto il possibile, compresi un paio di tortini deliziosi (cibo vero, di nuovo). E mi ributto sul sentiero.

Ecco, solo che adesso sembro l´esatto opposto di quello che ero prima della aid. Sono carico a mille, le gambe stanno tornando, il focus pure. Insomma, ci sono di nuovo.

E comincio a correre. Alè, ci siamo, penso tra me e me. Sta arrivando il momento della malvagità totale. Corro tutto adesso, anche in salita. Recupero gente della "corta" che mi aveva superato prima, voglio arrivare alla prossima aid, che poi sarà l´ultima comunque prima di Maboge. Questa cosa dei 20 minuti mi mette decisamente il pepe al culo, poco da fare, però sul momento cerco di concentrarmi solo sui marker (la batteria del Suunto ha detto basta, per oggi: anche meglio, almeno ora non mi inchiavo più la testa guardando troppo l´orologio). Ora guardo dritto, intorno a me, guardo questo fottuto sentiero in faccia. Te la faccio sudare fino in fondo, caro Escapardenne.

Rimonto un sacco di gente, credo anche un paio della lunga, e arrivo finalmente al fiume. So perfettamente che da ora in poi, anzi dalla aid (che sta per arrivare) fino a Maboge, saranno cazzi amari. Il tratto più duro di tutta la gara. Non ha mai ritmo, è un continuo saliscendi ripidissimo dove devi stare attento più che altro a non lasciarci una caviglia, tra rocce e radici.

La aid arriva, e stavolta ho un´ora e mezza sul cut off. Ok, mi tranquillizzo un attimo, ma non troppo. Ho 5 ore per fare 20 km. Basteranno, penso tra me e me. Col cavolo, e questa è la risposta decisa dell´Escapardenne.

La faccio breve: saranno 20 km di cammino quasi continuo. Di frustrazione, perchè volevo ancora correre comunque, gareggiare, finirla bene. La testa ci sta mollando in questo dungeon, e tutto sommato penso che a volte si cerchi davvero solo il sadismo e il gusto "di estremo" piuttosto che privilegiare la bellezza, l´armonia e la logicità di un percorso. No, non sono km di complimenti al Legends Team, lo ammetto. Ma come detto, forse è proprio la stanchezza e farmi vedere tutto nero adesso. Quei km di cattiveria pura prima della aid mi hanno forse dato il colpo di grazia? Avrei dovuto avere più pazienza?

Mille domande, una sola cazzo di risposta. Vai avanti maledizione, vai avanti. La vedremo prima o poi Maboge, laggiù in fondo alla valletta.

La salita a Berismenil poi è allucinante. Non ho più fiato, mi fermo ogni 10 passi a cercare il respiro. E´ come se il desiderare un traguardo che non arriva mai mi stia levando ancora più energie. E´finita, mi dico, non riuscirò mai a chiuderla nelle 36 ore, maledetto detour, e maledetto pure me che ho voluto fare il samaritano, penso in quel momento.

Eccola laggiù Maboge. Oh shit, ma è lontanissima. Andata, no chances. Camminicchio in discesa, e faccio pure in tempo a prendermi una cadutona micidiale. Rotolo non so come su sto cavolo di sentiero, e quando tutto si è calmato, mi trovo a testa in giù e gambe che guardano in salita, faccia all´aria, sporco e sgraffiato. Sto così una trentina di secondi, cerco di calmarmi un attimo, di resettare, di trovare almeno il focus minimo per navigare il sentiero fino a Maboge, dove comunque mi aspetta il taglio finale.

Ultima mini salita e mini discesa, proprio su Maboge e...beh, vedo Ari, lí in bici. Mi riconosce subito, un po´per la mia andatura sgangherata e un po´perchè sì. Cammino, non riesco neppure a salutarla bene, sono cotto del tutto. E un po´giù di morale, perchè comunque avrei voluto chiuderla questa TGE, correrla completamente, con tanto di 6 km di glory lap appunto sulla montagnetta sovrastante.

L´RD mi viene incontro. Ed eccola lì, la storia che raccontavo all´inizio, i minuti in più, ecc...

Nella Halle di Maboge mi riconoscono tutti (ci sono anche Chloe e Mervyn) e sono solo applausi.

Sì bene, grazie. Ma io adesso ho una missione da compiere. Coca cola al gargarozzo, manciata di patatine, e...beh, lo scrivevo all´inizio, mi butto su queste ultime tre miglia. E sono di nuovo cattivo, molto cattivo.

Chissà che cavolo è successo anche stavolta. Forse l´aver visto Ari lì mi ha dato la sveglia. Forse le "rassicurazioni" dell´RD. O forse tutto insieme, le sensazioni del weekend, l´essere al limite totale, quando non sai neppure più tu dove trovi la benzina rimasta.

Mi sbrano questa collina di pura malvagità. Penso a tutto. A Istria, ai mesi passati, a tutto l´anno, insomma a tutto. Voglio arrivare al traguardo adesso, quello vero. E voglio arrivarci da malvagio, avendo dato veramente tutto.

Tuono giù in discesa correndo e ritmando il passo con i bastoncini. Svolta a sinistra, ponticello, sprint finale e arrivo alla Halle.

35 ore e 50 minuti, più o meno. Ho percorso i 6 km finali in 40 minuti scarsi. E ho chiuso nel cut off regolare, fuck yes!

Crollo sul prato, non capisco più un cazzo.

Photo credit Harry De Vries

Mi mettono al collo una bella medaglia, e Ari mi porta una bottiglia di Kerel, una birra che fa un tizio locale, che per l´occasione ha anche sponsorizzato l´evento. Sul momento, è la cosa più buona e dissetante che abbia bevuto in vita mia. Sa di tutto. Di fango, di notte, di affumicato, di sudore, insomma sa di corsa. E lava via tutto, anche la cattiveria delle ultime miglia.

Mi rialzo, e l´unica cosa che voglio in quel momento è l´abbraccio di Ari.

"Questo è il Manu che conosco!".


Photo credit Harry De Vries
Fine.